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Primo anno alla Chesterton. Prima volta al Gala.

Le settimane che hanno preceduto l’evento sono state di grande fermento. Studenti e professori erano immersi nei preparativi. Prove di musica, prove di ballo, riprese per il video, allestimento degli ambienti, organizzazione della serata…

Nel mezzo di questa frenesia ho anche avuto modo di confessare la mia irritazione a qualche studente, perché avrei preferito fare qualche ora di lezione al pomeriggio da dedicare al ripasso generale in vista degli esami. Non è stato possibile. Anzi, a quanto pare dovevo considerarmi fortunato: “Tutto sommato quest’anno il gala è passato un po’ in secondo piano…”.

Poi è arrivata la fatidica serata e con me c’era anche mia nipote.

Serata tranquilla, iniziata con gli spettacoli dei ragazzi. Dalla prima media al quinto superiore. Chi ha suonato la chitarra, chi ha cantato, chi ha danzato sulle note lontane di un’Irlanda tanto uggiosa quanto vivace, chi su ritmi gitani dal sapore spagnoleggiante. Fino ad arrivare ai ragazzi che si sono cimentati nella break dance. E dopo gli spettacoli la cena. Semplice e gradevole. Poi ancora musica, ancora balli, ma stavolta la pista era per tutti, anche per il sottoscritto.

Mia nipote ad un certo punto mi ha aperto gli occhi. Era rimasta molto colpita.

Colpita dalle parole di gratitudine pronunciate dagli studenti del quinto nei confronti dei professori e della scuola. Per lei è stata una cosa nuova. Spesso il rapporto tra docenti e alunni si riduce ad un avvilente sforzo di sopportazione, che fa perdere il senso dello stare in classe.

Colpita dalle esibizioni dei ragazzi. Colpita dalla serata, nel suo complesso. Perché lei vorrebbe si facesse così anche nella sua scuola. Vorrebbe che fosse festa anche lì.

A quel punto ho capito. Che stupido…

Per me la serata è stata una catechesi sulla bellezza.

È vero che gli studenti hanno dovuto dedicare molto tempo ai preparativi e hanno dovuto arrangiarsi al meglio delle loro possibilità per conciliare gala e studio, ma in fin dei conti tutta la vita è così. Il gala è stato qualcosa di bello. Di autentico. E la bellezza, a questo mondo, costa fatica e sacrifici.

Vale la pena pagarne il prezzo?

Sì, se la bellezza non è fine a se stessa. Se non è la mera manifestazione di uno slancio edonistico. Se comunica qualcosa. Se scalda il cuore. Se dona un senso.

È vero, lo ripeto, i ragazzi hanno pagato con il loro tempo. Ma è anche vero che, proprio per il fatto che hanno pagato di tasca propria, l’evento ha acquisito un valore particolare. Ci hanno messo del loro. Chi il trenta, chi il sessanta, chi il cento. E questo l’ho percepito anch’io, che ero molto scettico a riguardo.

Così mia nipote ha scoperto che esiste un altro modo di fare scuola, anzi, di essere scuola. E io mi sono ricordato che vale la pena di combattere e impegnarsi per ciò che è bello, vero e buono. I miei pensieri in genere corrono molto nella mia testa e tutto questo mi ha fatto pensare anche alla meta ultima del mio pellegrinaggio su questa terra. Mi ha fatto pensare alla promessa fatta da un folle duemila anni fa, che ebbe l’incoscienza di offrire una vita eterna in compagnia di un Dio Amore che aspetta anche il sottoscritto da prima che nascesse. L’apoteosi della bellezza. Qualcosa per cui vale la pena vivere e lottare.

Quel sabato era il mio compleanno. Grazie a tutti del bel regalo!

Emanuele Romani (Insegnante di Fisica)

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